Ogni anno escono decine di film validissimi che, per i motivi più disparati, non riescono a trovare il successo e il riconoscimento che meriterebbero.
Le ragioni possono essere molteplici, da una campagna di marketing inefficace alla mancanza di una distribuzione capillare e internazionale.
Oggi abbiamo pensato di regalarvi una breve lista di 5 tra i migliori film indipendenti usciti negli ultimi 5 anni. Se ve li siete persi, è arrivato il momento di rimediare!
Quando ritenete che un’annata sia stata deludente e priva di film degni di nota, pensate sempre a quante piccole gemme d’autore aspettano soltanto di essere scoperte.
Apriamo le danze!
The Wailing (2016)
Quando Jong-Gu, uno sfaticato poliziotto di campagna, comincia ad indagare su una serie di omicidi collegati ad una misteriosa malattia infettiva, non può assolutamente immaginare l’orrore che lo attende.
In quello che era un pacifico e sonnacchioso villaggio rurale coreano i morti non fanno che aumentare. E, insieme allo strano virus, si propaga rapidamente anche la maldicenza.
Infatti, l’intera comunità non tarda a trovare il capro espiatorio. Si tratta di un forestiero, un pescatore giapponese che vive tra le montagne. Ma sarà davvero lui il responsabile degli efferati delitti?
The Wailing, firmato dal promettente Na Hong-jin, è una scheggia impazzita nel panorama dei film d’essai sudcoreani.
Sfuggendo ogni catalogazione, l’opera affronta l’eterno scontro tra fede e ragione con quella libertà espressiva e stilistica che solo i film indipendenti possono concedersi.
Nel corso delle quasi due ore e quaranta di durata si mescolano trovate di humor nero, momenti da poliziesco procedurale e agghiaccianti sequenze horror.
The Wailing non concede un attimo di tregua allo spettatore.
Quando pensiamo di aver intuito il successivo snodo della trama, Na Hong-jin si diletta a cambiare le carte in tavola, tradendo puntualmente le nostre aspettative (e in modo assolutamente positivo).
Il risultato? Un prodotto audace a cui forse manca il senso della misura, ma non certo la capacità di stuzzicare e turbare la nostra psiche.
Non aspettatevi una conclusione tradizionale e pacificatrice.
Un sogno chiamato Florida (2017)
Monee è un’esuberante bambina di sei anni che abita nel Magic Castle, uno squallido motel costruito ai margini del Disney World ad Orlando, in Florida.
La piccola, che vive insieme alla madre Hailey, trascorre l’estate bighellonando nella periferia, inventando ogni giorno nuovi giochi con i suoi amici Scooty e Jancey.
Tuttavia, la situazione finanziaria di Hailey non è delle migliori e il fantasma dei servizi sociali incombe sulle loro vite.
L’opera di Sean Baker, che ha fatto incetta di premi nei festival di tutto il mondo, ci ha colpiti soprattutto grazie ad un’azzeccatissima scelta registica: posizionare la macchina da presa ad altezza bambino per farci identificare completamente con Monee.
Per guardare il mondo con i suoi occhi e continuare a sperare in un futuro migliore, nonostante tutto intorno sia marcio.
Con uno stile debitore del Neorealismo, Baker affronta la durezza della vita di periferia attraverso la lente dell’ingenuità e della spensieratezza tipiche dell’infanzia.
Un sogno chiamato Florida ci restituisce uno struggente ritratto della miseria e dell’emarginazione sociale, piaghe di un’America che di rado viene mostrata con una tale autenticità.
Da vedere anche solo per la performance di Willem Defoe, che da anni mette il suo talento sconfinato al servizio di alcuni tra i migliori (e più controversi) film indipendenti mai usciti (come Antichrist di Lars Von Trier e il più recente The Lighthouse di Robert Eggers).
Eighth Grade – Terza media (2018)
Anche dai soggetti apparentemente più abusati possono nascere i film più avvincenti.
È questo il caso di Eighth Grade, un piccolo film indipendente americano che affonda la lama nei turbamenti giovanili al tempo del Web 2.0.
La vicenda è tutta imperniata intorno alle insicurezze e all’ansia esistenziale della quattordicenne Kayla (la strepitosa esordiente Elsie Fisher).
Kayla è una ragazzina timida e sensibile che, come tante altre, lotta quotidianamente per uscire dall’anonimato e guadagnarsi il favore dei suoi coetanei. Posta spesso su YouTube dei video che offrono piccole pillole di saggezza, ma nessuno li visualizza o li commenta.
Eppure, la vita intorno a Kayla continua a scorrere come se lei non esistesse. Nessuno pare davvero prestare attenzione a ciò che ha dire.
La nomina di ragazza “più tranquilla del suo anno” nell’ambito di un sondaggio scolastico è la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso: per Kayla è giunta l’ora di prendere in mano le redini della propria vita.
La pellicola d’esordio di Bo Burnham (attore comico, qui in veste di regista e sceneggiatore) si muove agilmente tra la commedia e il dramma, ma riserva più di una sorpresa nel modo in cui gestisce e contamina i toni.
C’è infatti un aspetto fondamentale che distingue Eighth Grade dagli altri film del suo genere: la sua capacità di generare tensione.
Quante volte vi è capitato di guardare un teen-drama in grado di costruire situazioni così ansiogene da poter rivaleggiare persino con gli horror più perturbanti?
La sceneggiatura di Burnham attraversa con grazia l’inesplorata terra di mezzo tra infanzia e adolescenza. E lo fa con uno sguardo autentico e sincero, senza mai pontificare o condannare.
Se volete farvi un’idea delle pressioni sociali ed emotive che subiscono quotidianamente i giovanissimi, non vorrete assolutamente perdervi questa perla low-budget.
Sound of Metal (2019)
L’esordio alla regia di Darius Marder rappresenta indubbiamente uno tra i migliori film indipendenti usciti negli ultimi anni.
Sound of Metal narra la tragedia personale di Ruben (Riz Ahmed), batterista di un duo noise-rock che, dopo l’ennesima esibizione a tutto volume, perde improvvisamente l’udito.
Ahmed è ispiratissimo nel rendere un personaggio convinto di poter aggiustare le cose, che basti un’operazione chirurgica per ripristinare come per magia ciò che non può più tornare.
Come nella tradizione del cinema indie più ispirato, Sound of Metal imbocca sentieri inattesi. Non vi troverete dinanzi alla solita e scontatissima parabola di integrazione e accettazione.
Per quasi tutto il film, infatti, Ruben è frustrato, furioso e non cerca mai la compassione o la comprensione altrui. Resta avvinghiato con tutte le sue forze al ricordo della sua vita prima di questa clamorosa battuta d’arresto.
Ecco perché Sound of Metal è un trionfo: ci offre uno sguardo intimo e autentico sulla naturale paura di fronte ai cambiamenti irreversibili.
Una donna promettente (2020)
La trentenne Cassie, una Carey Mulligan perfettamente in parte, lavora come cassiera in un bar, dove di notte adesca gli stupratori fingendosi ubriaca e vulnerabile.
Una donna promettente, esordio alla regia per l’attrice Emerald Fennell, si pone come un’arguta rivisitazione di un sottogenere decisamente stantio quale il rape and revenge.
Diversamente da quanto accade negli altri film del genere, infatti, Una donna promettente si rifiuta fermamente di mostrare la violenza che condanna. Ed è proprio per questa sua peculiarità che si aggiudica un posto di rilievo tra i migliori film indipendenti dell’anno scorso.
Non c’è spazio per il morboso voyeurismo tipico dei classici del genere, che spesso sembrano indugiare tanto sul momento della violazione quanto su quello della conseguente vendetta con eccessivo compiacimento (si pensi al vietatissimo Non violentate Jennifer del 1978).
Il film preferisce invece dare spazio alle premesse sociologiche e alle conseguenze psicologiche dello stupro: una scelta azzeccatissima e vincente.
Adottando la prospettiva ingannevolmente leggera della black comedy, la Fennell ci consegna un ritratto sconcertante della hook-up culture, con tutte le storture e l’ipocrisia che la caratterizzano.
E per oggi è tutto! Lasciateci un commento per farci sapere se avete apprezzato i nostri consigli e, se per caso, avevate già visto questi fantastici film.
A presto!