Niente più film censurati, niente più film mutilati e snaturati dalla mano pesante dello Stato italiano.
Dal 5 aprile 2021, afferma con orgoglio il Ministro della Cultura Dario Franceschini, viene:
Abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti.
Una notizia epocale, che ha il sapore di un dovuto risarcimento a tutti quei cineasti che hanno patito per decenni una dura repressione della propria libertà di espressione.
Appellandosi alla tutela del buon costume, la temutissima Commissione per la Revisione Cinematografica poteva decretare la vita o la morte (commerciale e culturale) dei film che venivano sottoposti al suo vaglio.
E così, per i motivi più vari (ma soprattutto per la rappresentazione estrema e dettagliata di immagini scurrili o violente), centinaia di film sono stati di volta in volta boicottati e censurati.
In casi estremi, alcuni sono stati persino rimossi dalla circolazione. Una tristissima riproposizione dei roghi medievali in salsa audiovisiva.
L’attuale decreto destituisce la vecchia commissione e ne istituisce una nuova, che si limiterà a verificare la corretta classificazione delle opere in uscita.
Senza più imporre tagli arbitrari e dettati da un perbenismo ipocrita e dalla propria posizione politica.
Del resto, siamo convinti che il pubblico debba avere piena facoltà di decidere cosa vedere e cosa no.
Tra l’altro, oggi, grazie al web, è facilissimo informarsi su quali tematiche sia incentrato un film e di conseguenza decidere se possa o meno urtare la nostra sensibilità.
Non spetta allo Stato fare questa scelta per conto nostro. Anche se con un certo ritardo, finalmente il nuovo decreto pone fine a questo retaggio arcaico.
Nella speranza che dalle parole si passi ai fatti, oggi vogliamo riproporvi 3 dei più bei film d’autore censurati in Italia per le ragioni più disparate.
Non seguiremo un ordine cronologico. Vogliamo piuttosto proporvi una sorta di escalation, dal caso di censura più soft (alleggerimento di qualche scena) a quello più eclatante (sequestro del film stesso).
Cominciamo!
La casa di Jack (2018) – Un film vietato ai minori di 18 anni… censurato!
Nella nostra carrellata sui migliori film d’autore censurati non poteva mancare uno di quei registi indipendenti contemporanei che, sin dagli esordi, ha fatto della provocazione il suo marchio di fabbrica: il danese Lars Von Trier.
La trama
La vicenda de La casa di Jack si svolge negli anni ‘7o e vede come protagonista jack (Matt Dillon), un serial killer affetto da disturbo ossessivo-compulsivo che equipara le proprie gesta criminali a delle opere d’arte.
Come sempre accade nel caso di Von Trier, la narrazione funge da mero pretesto per svolgere una riflessione sardonica sul rapporto tra arti visive, filosofia e violenza.
Quello de La casa di Jack è senza ombra di dubbio uno dei momenti più curiosi della lunga storia della censura cinematografica in Italia.
Videa, la casa di distribuzione, annunciò che il film sarebbe uscito nei cinema italiani in due versioni: una doppiata in italiano, l’altra in lingua originale e sottotitolata in italiano, entrambe vietate ai minori di 18 anni.
Soltanto la seconda avrebbe mantenuto intatto il director’s cut, il montaggio voluto dal regista.
E così, gli spettatori della versione doppiata in italiano si sono dovuti sorbire qualche sforbiciata alle scene più raccapriccianti. Come se il divieto ai minori di 18 anni non fosse già abbastanza!
Fortunatamente, le scene censurate sono poche (un minuto e venti secondi) e la violenza esplicita, tanto sgradevole quanto necessaria affinché passi il messaggio del film, rimane praticamente inalterata.
Insomma, ciò che più colpisce di questa scelta è la sua assoluta inutilità.
Non c’è alcuna ragione di “proteggere” un pubblico di maggiorenni, capaci di intendere e di volere (e perfettamente consapevoli degli eccessi dell’autore danese).
Chi non riesce a tollerare la durezza della rappresentazione (ed è assolutamente lecito), può benissimo alzarsi e andarsene dalla sala. O optare per la visione di un altro film su una piattaforma streaming!
Salvatore Giuliano (1962) – Tra i più bei film censurati preventivamente
Tra i più grandi cineasti politici italiani, Francesco Rosi costruiva intricati film d’inchiesta per analizzare, scrutare e studiare le dinamiche sociali e politiche del nostro Paese.
La trama
La storia di Salvatore Giuliano viene raccontata indirettamente, con delle rievocazioni che prendono spunto dalle indagini, dai commenti e dagli articoli pubblicati sui giornali in occasione della morte del famoso bandito.
Salvatore Giuliano, più che essere un film su questo celebre brigante, vuole raccontare le vicissitudini della Sicilia, caratterizzata da contraddizioni ataviche e da rapporti problematici con il potere centrale.
Quello di Salvatore Giuliano è un caso emblematico di censura preventiva cinematografica dettata da ragioni politiche: un fenomeno di repressione della visione artistica mascherato da salvaguardia della morale.
Ecco cosa accadeva in questi casi. Un funzionario, visionata la sceneggiatura, consigliava di apportare modifiche al copione per evitare di perdere tempo e denaro nella realizzazione di riprese che poi sarebbero state comunque contestate o tagliate.
La stessa sorte toccò a numerosi capolavori della stagione del Neorealismo, tra tutti Ladri di Biciclette (1948) e Umberto D. (1952) di Vittorio de Sica.
Insomma, prevenire era meglio che tagliare: in questo modo si evitava che i film fossero censurati.
Diversi passaggi del capolavoro di Rosi vennero giudicati inopportuni in quanto rischiavano di compromettere la reputazione dello Stato italiano davanti al pubblico sia nazionale sia internazionale.
Il film venne censurato preventivamente perché proponeva un’immagine diversa della storia nazionale, ipotizzando un’alleanza temporanea tra Stato e Mafia.
Un’ipotesi che, all’epoca, risultava (e doveva continuare a risultare) assolutamente inconcepibile.
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) – Il re dei film censurati
Pier Paolo Pasolini, illustre poeta ancor prima che cineasta, ebbe uno dei rapporti più tristemente longevi con la censura cinematografica italiana.
Quasi tutti i suoi film (a partire dall’esordio Accattone) vennero censurati, manipolati o persino sequestrati, perché considerati scabrosi e irrispettosi nei confronti delle istituzioni borghesi e del comune senso del pudore.
Pasolini fu un intellettuale scomodo non tanto e non solo per il modo in cui sdoganò il sesso con le sue opere, ma soprattutto perché lo sfruttò come arma di dissenso.
Lo scontro giunse al suo apice proprio con il suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma.
La trama
Ispirata al romanzo incompiuto Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade e scritta con la collaborazione di Sergio Citti e Pupi Avati, l’ultima pellicola di Pasolini trasporta gli avvenimenti ai tempi della Repubblica di Salò.
I protagonisti della vicenda sono quattro Signori, ciascuno rappresentante di una diversa tipologia di potere:
- Il Duca (potere di casta)
- Il Vescovo (potere ecclesiastico)
- Il Presidente della Corte d’Appello (potere giudiziario)
- Il Presidente della Banca Centrale (potere economico)
I quattro signori, con la collaborazione di soldati tedeschi e repubblichini, fanno rapire un folto gruppo di ragazzi e ragazze tra cui scegliere delle vittime per una serie di rituali sadomasochistici da svolgere in una villa appartata.
L’opera si presenta, a detta dello stesso autore, come una feroce
metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto. Tutto il sesso di de Sade ha la funzione di rappresentare ciò che il potere fa del corpo umano, la riduzione del corpo umano alla cosa, la mercificazione del corpo.
Dopo una delle discussioni più lunghe nella storia della censura italiana (quasi due ore di riunione), il film ottenne nel 1975 il nullaosta di circolazione, senza tagli ma con divieto ai minori di 18 anni.
In seguito, il film venne sequestrato dalla Procura della Repubblica di Milano e processato per commercio di pubblicazioni oscene.
La Procura Generale di Roma arrivò persino ad accusare Alberto Grimaldi (produttore anche di un altro storico film censurato quale Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci) il reato di corruzione di minorenni (che costituiscono la maggior parte del cast artistico), da cui poi viene assolto.
Nonostante le difficoltà opposte dalla censura e dai sequestri (anzi forse proprio grazie ad esse), Salò ottenne un’ampia popolarità ed è oggi considerato un cult irripetibile.
Indubbiamente si tratta di un’opera volutamente sgradevole, scomoda, dolorosa. Ma ora ci tocca chiederci…
Se la rappresentazione fosse stata meno brutale, l’atto di denuncia contro le aberrazioni del Potere avrebbe avuto lo stesso impatto?
Non ne siamo così certi.
Se vi sono piaciuti i nostri consigli, lasciateci un commento per dirci la vostra.
A presto!